venerdì 8 febbraio 2008

Intervista a Plinio Zilli

Plinio Zilli ha compiuto da poco 82 anni ed è considerato uno dei decani del giornalismo del Friuli Venezia Giulia. Suo padre, titolare di un’impresa di lavori edili cominciò a lavorare nel Paese delle aquile nel 1927. Poco dopo si trasferì nel Paese balcanico assieme alla famiglia, dove rimase durò fino al 1944. Zilli nella capitale albanese frequenta le scuole elementari, dove impara l’albanese. Giornalista lo diventa più tardi, nel 1957 lavorando prima con il Messaggero Veneto e poi a Reggio Calabria, per un breve periodo. All’inizio degli Anni ’60 diventa inviato speciale del Giorno in Francia e a Lione resta fino al 1963 per rientrare poi a Udine, dove viene assunto da una compagnia statunitense specializzata nella costruzione di macchine agricole. Comincia qualche anno dopo la sua attività di addetto stampa con la Fiat Trattori, che nel frattempo ha acquisito la società.
- Cosa è rimasto degli anni trascorsi in Albania?
“Tanti splendidi ricordi. Spesso sento una profonda nostalgia per quei giorni e per i volti che affiorano nei ricordi. Eravamo molto integrati e avevano tanti amici. Ricordo le battute di caccia e i momenti di convivialità, la grande cordialità di quella gente. Ho sempre amato la loro cultura”.
- Cosa la colpiva degli albanesi?
“Il loro carattere. Erano molto fieri e basavano il loro modo di vivere su principi molto saldi. Quando arrivò l’occupazione italiana provammo un profondo disagio: mio padre non condivise mai l’occupazione decisa dal fascismo e questo sentimento era condiviso dalla maggior parte dei 7 mila italiani che vivevano nel Paese. Gli albanesi erano onesti e intrattenevano con noi rapporti eccellenti, d’altro canto comprovati da un’ospitalità mai vista altrove.”.
- Ha ritrovato lo stesso atteggiamento negli albanesi immigrati in Italia?
“Per tanti di loro la mentalità e il senso dell’onore sono rimasti gli stessi. I malavitosi sono e restano una minoranza, ma fanno molta più notizia e sporcano, con il loro modo di operare, l’intera comunità albanese. Ecco perché sono stato tra i promotori della nascita dell’Associazione Italo -Albanese nel 1995, che ho presieduto per molti anni, fino a quanto è subentrato Bashkim Fishta, mentre io sono stato nominato presidente onorario. Guarda caso, sono moltissimi anche gli italiani iscritti all’associazione, tra cui alcuni colleghi giornalisti”.
- L’Italia ha saputo accettare gli albanesi?
“Credo che molto cambi da zona a zona. Dove risiedo, a Feletto Umberto, la gente ha imparato a conoscergli e ad apprezzarli, accogliendoli molto bene. Ci vivono molte famiglie di origine albanese, ora cittadini italiani perfettamente integrati, tanto che molti ragazzi si sono laureati a Udine. Uno di loro è l’attuale vicepresidente dell’associazione, Enel Banja, laureato in ingegneria elettronica. Anche a livello regionale il livello dell’integrazione e dell’accoglienza è molto buono e spesso si tratta di famiglie di cultura medio alta”.
- Cosa manca per fare ancora meglio?
“Direi che abbiamo raggiunto un ottimo livello. Ci sono tanti albanesi che lavorano con ditte italiane e sono accolti sempre con cordialità e rispetto”.
- Com’è cambiata l’Albania che conoscevi?
“La situazione politica è piuttosto complessa. Il Paese tuttavia sta facendo enormi progressi nel raggiungere gli standard europei e la Tirana in cui ho vissuto io è profondamente cambiata. Lo stesso dicasi per le altre grandi città che sono cresciute in termini di popolazione ed estensione. Anche da loro, tuttavia, affrontano problemi simili a quelli dell’Italia se non peggiori: stipendi bassi e costo della vita in crescita”.
- Ormai siamo alla seconda generazione. Quando vedremo persone di origine albanese assumere incarichi politici come avviene per esempio per gli italiani all’estero?
“Credo sia ancora presto, ma non manca molto. I ragazzi che sono cresciuti e hanno studiato in Italia sono sempre tra i migliori nelle loro classi. Prima o poi, nelle liste elettorali leggeremo qualche cognome albanese. Il numero dei laureati sta crescendo e addirittura molti albanesi di recente immigrazione, già in possesso di un titolo di laurea acquisito in Albania, studiano per acquisire anche la laurea italiana”.
- Quali sono i problemi più citati quando parli con loro?
“All’inizio erano quelli del posto di lavoro e dell’abitazione, ma ora la situazione è diversa. Questi problemi sono stati superati. Non mi è mai capitato di ascoltare lamentele su atti di razzismo nei loro confronti e questo dimostra che il livello di integrazione della comunità albanese è esemplare.
- In cosa sono diversi gli albanesi dagli italiani?
“Ci tengono molto a conservare e tramandare la loro storia, il loro senso di appartenenza e la loro cultura, ma questo mi pare che valga per qualunque nazionalità, non soltanto per loro. In fondo gli albanesi sono molto più vicini agli italiani, in termini di valori e operosità, di quanto s’immagini. E’ anche per questo che si integrano così bene con noi. Restano anche custodi orgogliosi della loro lingua tutelata nel nostro Paese una lingua minoritaria grazie all’esistenza, nel Sud Italia, di comunità albanofone fuggite dalla dominazione turca. Anche da questo punto di vista la presenza di persone di cultura e origine albanese rappresentano per la nostra regione, da sempre abituata al plurilinguismo un indubbio arricchimento culturale”.

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